lunedì 21 maggio 2007

DEMOLIZIONE AD ARTAS

Artas è un villaggio piccolissimo vicino a Betlemme, abitato da contadini che vivono delle loro terre e del frutto delle loro fatiche.
La loro unica sfiga è quella di essere vicini ad un insediamento israeliano che si chiama Efrat, in continua espansione. Ultimamente i coloni hanno deciso che le terre di Artas sono un buon posto dove costrire una pompa dell'acqua per irrigare i loro campi e che la vallata delle terre di Artas vale per loro più della vita delle famiglie palestinesi che quei campi li coltivano dal 1936.
Sabato notte i proprietari di quelle terre hanno chiamato quante più persone potevano per andare li a dormire in tende montate proprio sui campi soggetti a confisca perchè i soldati erano arrivati sul posto e avevano dichiarato che alle quattro del mattino sarebbero venuti a sradicare gli alberi e disctruggere i muretti di divisione dei due campi per livellare il terreno e preparare i lavori per la costruzione della pompa.
Io eed altri siamo andati subito sul posto. Alle due del mattino ho lasciato il posto perchè la situazione era molto calma, c'erano circa 40 persone sul campo, davanti ai fuochi a parlare e bere the..per un attimo andandomene ho pensato che forse questa volta ce l'avremmo fatta. Per un attimo, giuro, ci ho creduto davvero.
Alle due e mezzo i soldati sono arrivati ed hanno detto alla gente che si trovava li di andarsene perchè c'era un uomo armato che si aggirava per la collina e per la loro sicurezza era meglio abbandonare la zona.
Nessuno gli ha creduto e tutti sono rimasti sui campi.
Alle cinque e mezza però sono tornati. Circa 40 militari e alcuni poliziotti.
Questi due video di dieci minuti ciascuno sono il racconto di cosa è successo. So che è noioso guardare venti minuti di video su un paese che sta a migliaia di chilometri da voi, e per di più in un altra lingua, ma spero che lo facciate lo stesso.

Distruggere la vita di una persona e facile...Come sradicare un albero..come mangiare un panino di fronte ad una donna di settantacinque anni che sta guardando la sua vita sparire sotto i suoi occhi. ..non ci sono parole per descrivere lo strazio di persone che hanno perso tutto in un' ora e che non possono fare niente ..non ci sono parole per descrivere il senso di impotenza e nausea per l'umanità che provo io in questo momento.






giovedì 17 maggio 2007

LA TRAPPOLA


Quando un popolo si trova nella condizione di essere collettivamente minacciato da un fattore esterno, sia questo un'ideologia, un movimento politico, un Paese, la reazione più immediata è una coesione interna, una contro-reazione di spinta verso la propria comunità nell'estremo tentativo, attraverso l'unità e la solidarietà, di creare un fronte di resistenza compatto. Questo meccanismo è tanto inconscio quanto automatico: ne vediamo gli esempi palesi nella comunità internazionale occidentale, dopo l'attentato alle torri gemelle, o alle stazioni dei treni di Madrid, che hanno creato un senso di forte unità tra i paesi "occidentali" in contrapposizione ai paesi "islamici". In breve tempo sono state riscoperte radici comuni, background culturali condivisi, un'unità non solo europea, ma addirittura occidentale, tra paesi, come l'America e la Spagna, ad esempio, che hanno davvero poco in comune a livello di radici storico-culturali. Questa involuzione interna comprende una spinta aggressiva verso l'esterno in una logica di attacco preventivo (non solo metaforicamente parlando) alla ricerca dell'elemento da demonizzare e della precisa identificazione di un nemico verso cui incanalare la paura provocata dal senso di minaccia latente. In modo assolutamente speculare, la stessa dinamica coinvolge la parte opposta: la popolazione musulmana o araba che vive all'interno dei paesi occidentali, nel trovarsi sottoposta a forte pressione e a critica, talvolta ad un vero e proprio attacco violento rivolto alla propria cultura, risponde con un'involuzione interna e una radicalizzazione dei costumi e delle tradizioni legate alla propria identità, così fortemente messe in discussione. Il concetto racchiuso nelle parole del Presidente degli Stati Uniti George Bush "o con noi o contro di noi" parlando della lotta al terrorismo è assolutamente chiaro: in una contrapposizione tra il noi e il loro non esiste spazio per possibili critiche interne o discussioni sulle modalità di lotta, l'unico spazio di movimento consentito è quello che si colloca nella scelta della parte da cui stare.

Questa dinamica crea all'interno delle società stesse un meccanismo di totale distruzione e schiacciamento dei movimenti di società civile, quali ong, associazioni per i diritti umani, ecc., meccanismo che diventa più forte e sviluppa gli effetti più devastanti in paesi che non hanno una lunga tradizione democratica alle spalle, come ad esempio la Palestina. Questo meccanismo si espleta in modo radicale laddove l'attacco che si subisce non sia solo ideologico e culturale, come può esserlo quello tra l'"Occidente" e il "terrorismo", che ha visto sì il verificarsi di episodi violenti fondamentalmente isolati, ma sia un attacco armato e continuo, come di fatto è l'occupazione che Israele porta avanti nei Territori Palestinesi ormai da quasi cinquanta anni. Quello che accade quindi è che all'interno dei TOP tutti i movimenti di società civile focalizzano la loro attenzione e le loro attività attorno al problema dell'occupazione, relegando in secondo piano tutte le altre problematiche interne alla società palestinese. La dinamica che si crea all'interno del conflitto arabo-israeliano, in cui la configurazione del nemico e la conseguente distinzione del noi e del loro è facilmente realizzabile, è di totale schiacciamento di qualsiasi espressione di società civile che non sia inquadrabile nella lotta contro Israele e contro l'occupazione. In paesi a lunga tradizione democratica o supposta tale come i paesi europei, i movimenti di società civile interni sviluppano un'aperta posizione di critica e lotta sociale nel tentativo di condizionare l'elite al potere, e la loro azione si inserisce in un generalizzato contesto che vede la critica verso la propria società come uno strumento di crescita e partecipazione attiva alla vita comunitaria, che acquista un connotato positivo, ed è spesso considerata un indicatore della democraticità e della maturazione sociale di un paese.

In un paese come la Palestina, dove l'occupazione è un meccanismo assolutamente totalizzante che condiziona ogni singolo aspetto della vita dei cittadini palestinesi, dai bambini alle donne, ai vecchi, i movimenti di società civile devono ritagliarsi il loro spazio vitale all'interno dello strettissimo corridoio lasciato aperto dall'occupazione da un lato, e dall'esigenza di una lotta condotta giornalmente, minuto per minuto, ad ogni singolo livello della società, dall'altro. Ogni azione che non rientri in questo spazio diventa quindi una minaccia, un tradimento, un pericoloso tentativo di minare l'unità della popolazione e di modificare quella cultura locale che non è importante in se stessa, ma in quanto espressione di un'identità minacciata che ha bisogno di essere protetta. Essa diventa emblema della resistenza di un popolo di fronte a coloro che, per giustificare l'occupazione, additano la cultura araba come fondamento del problema. Le dinamiche all'interno della quali i MSC (movimenti della società civile) palestinesi si trovano ad operare sono quindi di tripla natura: da una parte il tema della guerra e dell'occupazione è così totalizzante che non può essere ignorato e che ogni altro problema sembra perdere importanza rispetto ad esso; inoltre, occupandosi principalmente di tale questione, essi hanno la completa certezza di raccogliere intorno a sé il maggior consenso possibile, necessario a qualsiasi movimento per perpetuare se stesso; dall'altro lato ogni tentativo di affrontare problematiche interne legate alla cultura e alla società palestinesi viene vissuto dai palestinesi stessi come un tentativo di minare dall'interno quell'unità nazionale considerata fondamentale per portare avanti la lotta contro Israele.

In questo contesto ad essere in pericolo però sono di fatto la società stessa palestinese e il suo sviluppo dal punto di vista della coscienza civile. Tale crescita ha sempre costituito per una società, nel corso della storia mondiale, una modalità per plasmare se stessa secondo i mutamenti della realtà circostante, o per adattare la realtà a se stessa, uscendone trasformata, attraverso processi che in Europa hanno condotto ai movimenti femministi degli anni settanta, o alla liberalizzazione dei costumi degli anni sessanta, o all'affermazione dei diritti dei bambini, degli anziani, delle minoranze.
L'involuzione sociale che la pressione esterna provoca, è da un lato il collante che tiene unita la popolazione palestinese, sostenuta da una rete di solidarietà sociale che in Europa non esiste ormai da tempo, dall'altro l'elemento che ne congela le dinamiche sociali, creandovi tutto intorno un muro di impenetrabile immobilismo.
La conseguenza più immediata di tutto questo è che bisogni fortemente sentiti, come i diritti delle donne o dei bambini, ad esempio, non possano essere efficacemente affrontati, così come quelli di soggetti esclusivamente interni alla stessa società palestinese. La conseguenza remota è invece che l'immobilismo e la chiusura culturale del paese costituiscono una perfetta scusa per l'edificazione dello stereotipo occidentale del "palestinese-mussulmano-radicale-terrorista-violatore di diritti umani".

Ciò che occorre davvero è una rivoluzione interna al modo di affrontare la lotta contro l'occupazione della popolazione palestinese stessa ad ogni livello, nel momento in cui queste dinamiche privano i palestinesi di risorse fondamentali, quali il contributo delle donne, motore del sistema di solidarietà sociale che sostiene il paese, e i bambini, futuro del popolo palestinese, troppo spesso ridotti a vittime inconsapevoli di un sistema violento che scambia il lancio di pietre per coscienza politica. Cercare di cambiare una situazione partendo solo dall'esterno è difficile: il popolo palestinese non ha il potere e le risorse per cambiare la società israeliana o quella occidentale, ma ha tutte le potenzialità necessarie a cambiare se stesso e a creare le basi per condurre una lotta ad armi pari contro un sistema che sta distruggendo non solo la sua terra, ma la sua risorsa più grande, quella umana.

lunedì 7 maggio 2007

IO HA FATTO UN'ALTRA SCELTA!

Oggi, ovunque nel mondo, la maggior parte della gente ha perso la fiducia nei politici.

Corruzione, cospirazioni e scandali politici sono diventati la norma in ogni paese ed in ogni partito, per cui moltissimi politici ha perso la fiducia anche dei propri sostenitori. Molti credono che la Politica generi automaticamente la corruzione, di qui il detto: “dove c’è potere c’è corruzione”. Nessuna meraviglia quindi se la maggioranza delle persone non ha fiducia non solo nei politici, ma anche nella Politica in quanto tale. Molti si rifiutano di votare, non credono più che il voto possa portare dei cambiamenti significativi.

Non votare per i propri rappresentanti è un voto di “sfiducia” per quel tipo di governo.

Spesso le persone disgustate dalla doppiezza di quasi tutti i politici cercano quelli che possono meritare la loro fiducia, ma se per caso riescono a trovarne alcuni, di solito verranno poi traditi anche da questi. Nessuna meraviglia se taluni pensano che il parlamento va rimpiazzato da un dittatore. Altri rifiutano l’ipotesi di un dittatore, ma poiché non vedono alternative, si rassegnano e abbandonano la Politica ai politici. Ciò peggiora le cose, perché in questo modo si lascia che la società venga gestire da politicanti preoccupati più del loro potere personale che degli interessi della collettività.

Quando tutti i cittadini decidono tutte le politiche, i rappresentanti politici diventano superflui perché il loro lavoro è quello di decidere per gli altri.
Essi rappresentano altri. L’autorità di rappresentare gli altri costituisce un ‘potere’, ed è questo potere – non la Politica – che genera corruzione. Abolire il loro potere significa abolire la corruzione. Senza la corsa a questo potere, la Politica verrà liberata dall’ipocrisia, dalla doppiezza e dalle cospirazioni. Quando tutti i cittadini decidono tutte le politiche abbiamo un nuovo sistema politico chiamato Democrazia Diretta (DD). In tale sistema nessuno rappresenta altri, nessuno viene pagato per decidere le politiche, quindi i costi di gestione della collettività vengono ridotti al minimo, mentre aumenta l’interesse dei cittadini per i problemi della società.

Nessun sistema politico è in grado di curare tutti i problemi politici. Credere che possa esistere una simile cura porta a pericolose delusioni. Una simile cura non esiste. L’abolizione dei rappresentanti risolverà molti problemi politici ma non tutti. Quando ogni cittadino può proporre, discutere e votare ogni tipo di politica, nessuno ha più l’autorità di decidere per gli altri e di conseguenza il potere dei politici è abolito. Per loro, il potere politico è come una droga. Coloro che arrivano a possederlo – in ogni organizzazione sociale: Stato, Chiesa, comune, scuola, famiglia – ne diventeranno dipendenti. Dovrebbero essere trattati come quei drogati che fanno qualsiasi cosa pur di continuare ad ottenere la loro droga. Molti politici bramano per il potere in quanto tale, ma anche coloro che lo usano per migliorare la società faranno qualsiasi cosa pur di continuare a possederlo.

La DD abolisce il potere politico proibendo a chiunque di decidere le politiche per gli altri.

Nessuno rappresenta gli altri. Ogni cittadino o cittadina detiene soltanto un voto per ciascun indirizzo politico e rappresenta soltanto se stesso, se stessa.

Se una politica sbagliata produce dei risultati indesiderati o negativi, coloro che l'hanno votata ne sono responsabili. Per evitare il ripetersi dei risultati negativi i cittadini dovranno scoprire perché hanno votato una decisione sbagliata e riconsiderare le loro motivazioni. Questo li farà cercare in se stessi – non all’esterno di se stessi – le cause dei problemi politici, per identificarle e superarle.

La Democrazia Diretta può perciò essere descritta così: “Ogni cittadino possiede in ogni momento l’autorità per proporre, discutere e decidere votandola, ogni politica.”
Questo significa abolire il potere dei politici, abolire la loro autorità di decidere per gli altri. Ogni cittadino ha il diritto di proporre, discutere e di votare ogni legge ed ogni politica. Che poi i cittadini vogliano o no usare questo diritto, spetta a loro deciderlo.

BY AKIVA ORR