martedì 27 febbraio 2007
BIL'IN
La manifestazione di Bil'in si svolge ogni venerdì da due anni. Due anni che si cerca di lottare per impedire che l'ennesimo villaggio venga distrutto dalla lunga mano di Israele, che con il suo muro sta semplicemente istituzionalizzando la sua continua e violenta occupazione. Vorrei essere obiettiva, davvero, ma la verità è che non posso. Tra oppressi ed oppressori non c'è spazio per l'oggettività, io ho scelto da che parte stare, ogni uno scelga la sua posizione secondo la sua coscienza. Io ho fatto la mia scelta, ma questo non credo che mi impedisca di capire le scelte diverse dalla mia. Sono aperta ad ogni critica, ma io ho fatto la mia scelta!!. A Bil'in, a Hebron, ovunque, ho scelto di rinnovare la mia decisione di stare al fianco degli oppressi. Senza mai perdere la capacità di critica, senza mai perdere la tenerezza, se mi si consente una citazione da chi aveva deciso di combattere con le armi contro l'oppressione del suo popolo, ma non solo.
Io rimango pacifista, perchè sono convinta che la non violenza sia l'unica arma capace di fronteggiare qualsiasi esercito, anche il più potente, ricco e sofisticato del mondo!. Io rimango ferma nella mia convinzione!. Anche con il fumo dei lacrimogeni negli occhi, anche con la gola in fiamme e i proiettili che mi fischiano nelle orecchie. A Bil'in, in mezzo al prato di un piccolo villaggio, mentre cerco di respirare e non ci riesco, mentre sento il gas bruciarmi nei polmoni e le forze abbandonarmi, io rimango convinta di aver scelto la strada giusta. E, mentre la paura mi assale e non vedo più nulla, se non il fumo del gas che mi circonda, la paura sale e per interminabili minuti cerco di respirare e tenere gli occhi aperti per capire dove piovono le bombe sonore e le bombe a gas e da che parte arrivano i proiettili sparati dai soldati, che solo fino a due minuti fa chiacchieravano con me. Rimango convinta anche quando capisco che non posso correre se non ci vedo più, e le lacrime non smettono di scendere e bruciano sulla pelle come fossero spine.
Rimango convinta anche quando riesco ad intravedere la sagoma di un ragazzino sbucare dalla nebbia. Lui non piange come me, lui non sembra sentire il gas, la paura, il rumore delle bombe sonore, lui non sembra preoccuparsi dei proiettili veri e di plastica che hanno già colpito dieci persone negli ultimi dieci minuti, e che potrebbero colpire anche noi. La kefia gli copre il volto, nella mano la lunga fionda che usa per lanciare sassi ai soldati. Vedo solo i suoi occhi, tra le lacrime e la paura: i suoi occhi mi parlano di odio e di tenerezza insieme. Sono gli occhi di una umanità che sta fallendo, sono gli occhi della SPERANZA CHE NON c'è, sono gli occhi di un mondo che gli ha voltato le spalle. Quando cado sulle ginocchia, vedo solo la sua sagoma scomparire...poi la paura mi inghiotte...attimi di silenzio..l'unico rumore che sento è il mio cuore che batte..Non piango per me, non piango perchè ho paura di morire, piango per lui e per tutti gli altri ragazzi che, come lui, in quel campo, stanno tirando la loro vita contro uno degli eserciti più potenti del mondo. Piango per loro e per le loro madri, piango per il futuro che non hanno..piango per i soldati che sparano, piango per il vecchietto investito dal getto dell'idrante che rotola via senza più coscienza e si accascia come uno straccio bagnato senza vita.. Un flusso di pensieri mi assale, ma non riesco a seguirlo perchè il gas sta facendo effetto, e lentamente sento mancarmi le forze e l'ossigeno nei polmoni. Solo la mano di James mi riporta alla realtà: anche lui ha gli occhi pieni di lacrime e ha paura. Ma il solo contatto con la sua mano mi ridà la forza di alzarmi. E i momenti passati insieme forse sono l'unica fonte di energia, mentre, mano nella mano, corriamo cercando di trovare una via di fuga. Quando arrivo sulla collina, gli occhi chiusi e la gola in fiamme, ho nelle orecchie solo il suono dei miei rantoli, ennesimo sforzo di cercare di fare entrare aria nei polmoni, nella testa la paura di morire. E' una voce che mi riporta alla realtà, la mano di James è l'unico legame con il mondo in questo momento.
"Non smettere di respirare, ce l'hai fatta, sei al sicuro, non smettere di respirare e tutto andrà bene". La voce mi mette in mano un batuffolo di cotone imbevuto di alcool e me lo appoggia sotto il naso. Lentamente ricomincio a respirare, dopo pochi minuti posso aprire gli occhi..James è ancora davati a me e mi tiene ancora la mano
..sono viva..
Mi volto appena in tempo per vedere un ragazzo colpito da un proiettile allo stomaco, gli occhi fuori dalla orbite, la bocca aperta per cercare di respirare...lui non ha avuto la mia stessa fortuna.
Dietro le mie spalle l'inferno continua, dentro di me l'inferno è appena cominciato. Wecome to Palestine!!
mercoledì 7 febbraio 2007
(1929 - 1968)
"Ci troviamo ora di fronte al fatto che domani è già oggi..."
"La speranza spetta a noi, e per quanto potremmo desiderare altrimenti, dobbiamo scegliere in questo momento cruciale della storia umana."
"La vera scelta non e' tra nonviolenza e violenza ma tra nonviolenza e non esistenza... Se non riusciremo a vivere come fratelli moriremo tutti come stolti".
L’ABBRACCIO DI UN ANGELO
I soldati non sembrano della stessa idea però..e forse i loro orologi funzionano in modo diverso, perché dopo pochi secondi stanno saltando sopra una piantina appena interrata spezzandone gli esili ramoscelli.
Hassan ha solo 12 anni. Non dovrebbe neanche stare qui, dovrebbe essere a casa a giocare con gli amichetti. Ma qui si cresce in fretta e Hassan è già un piccolo attivista che va nei campi confiscati del babbo a piantare alberelli di ulivo con persone che non conosce e che parlano un’altra lingua. Sembra la bimba con il cappotto rosso di Schindler List, lui con la sua felpa giallo canarino che risalta sullo sfondo marrone scuro e verdone della terra. E come tutti i dodicenni forse non lo sa neanche cosa sta facendo quando si scaglia contro un soldato che ha appena spezzato la sua piantina di ulivo e gli sferra un bel calcio negli stinchi. E anche Abram, con il suo M-16 al collo e i suoi pochi vent’anni non lo sa davvero cosa sta facendo quando lo afferra per le spalle e comincia ad urlargli in faccia. Due bambini. Due bambini che litigano per un gioco conteso. Faccia contro faccia, a due centimetri di distanza una dall’altra che si urlano una rabbia non loro, eredità di due popoli che hanno trasformato il dolore in odio e hanno incatenato i loro figli in una spirale di violenza senza uscita.
In una frazione di secondo ci sono almeno trenta persone accalcate le une sulle altre che cercano di dividerli, ma ormai è troppo tardi..
Così, mentre tutti si spintonano e alle urla si sovrappongono altre urla, qualcuno fa qualcosa che nessuno si aspetta. Non so da dove arrivi, o chi sia. Piano piano, entra silenzioso nel cerchio di gente, soldati, internazionali, poliziotti, contadini, bambini, e, come un angelo arrivato da chissà dove, fa la cosa più semplice del mondo: lo abbraccia.
E’ una frazione di secondo...tutto si ferma per una impercettibile frazione di secondo: il ragazZino ha lo sguardo smarrito, il soldato per un attimo si dimentica di urlare. Lui non sembra neanche vero, sembra non essere li, in mezzo a M-16 e granate e pistole e rabbia vomitata da bocche assetate di odio. Ma io lo vedo.
Solo, un angelo abbraccia quella felpa gialla e con il suo corpo gli fa da scudo.
Tutto ciò che accade dopo è una danza, una danza ballata sulle note di rinnovate urla confuse, sembra che nessuno abbia sentito quel secondo di silenzio che ho sentito io. Una danza che si lascia cullare dalla melodia di una madre che prega perché suo figlio di dodici anni non venga arrestato. E quelli che prima erano solo due bambini incattiviti sono ora il fulcro di un grande cerchio: internazionali e soldati che si tirano e si abbracciano chi per impedire che qualcuno venga portato via chi per strappare dalle mani del “nemico” un prezioso ostaggio. E il cerchio nel frattempo si sposta e si muove sul campo lasciandosi dietro le povere piantine spezzate dal peso di tanta rabbia, le scarpe di Hassan semi-ricoperte di terra, le urla della madre che si aggrappa alla giacca del soldato implorandolo di lasciare il suo bambino.
Ma l’angelo non molla, non si scompone, non si lascia contagiare da tanta rabbia e disperazione. E’ la forza dell’amore e della solidarietà contro la paura e l’odio. E’ una battaglia vinta in partenza.
E’ la forza della calma e della pazienza. L’angelo è sempre li, anche se nessuno lo vede davvero. Perché è molto più facile vedere la paura e l’odio e sentire le grida e gli insulti, piuttosto che percepire il silenzioso canto della speranza. Ma lui rimane li. Un angelo, solo, contro un gigante.
Questa storia è dedicata a tutti gli angeli che camminano tra noi, dai ragazzi dell’Operazione Colomba a quelli del CPT, dai Caschi Bianchi nel mondo ai pacifisti di ogni luogo.
Questa storia è dedicata ad una felpa gialla che corre giù per la collina dopo aver danzato con un angelo al suo fianco. Questa storia è dedicata ad un soldato che tornando a casa forse chiederà un abbraccio a sua madre per capire cosa ha provato quella felpa che gli è sfuggita dalle mani.
Questa storia è dedicata a tutti coloro che aspettano che il loro angelo arrivi a salvarli..non perdete la speranza, loro sono tra noi!!
Questa storia è dedicata a Runa.