Un'autobomba che uccide sei caschi blu, razzi Katiusha sparati verso Israele, attentati nel pieno centro di Beirut e soprattutto il feroce e sanguinoso assedio dell'esercito libanese ai militanti islamici in un campo profughi palestinese a Tripoli, che ha suscitato una caccia al palestinese in tutto il paese. Un'ondata di violenza scuote il paese dei cedri, che cercava di ricucire le pesanti ferite della recente guerra con Israele. Alla vigilia dell'insediamento del tribunale internazionale per scoprire i responsabili dell'omicidio dell'ex premier anti-siriano Rafik Hariri. Le recenti notizie dal Libano, prive di legami apparenti, potrebbero invece presagire cupi scenari
futuri, nel paese in cui le potenze occidentali e mediorientali hanno da sempre giocato le loro guerre sporche.
Tutto è cominciato il venti maggio scorso, quando, dopo una rapina in una banca di Tripoli, un gruppo di miliziani islamici ha aperto il fuoco su una postazione dell'esercito libanese, provocando numerose vittime tra i soldati e rifugiandosi quindi nel vicino campo profughi palestinese di Nahr al Bared. Il campo ospita quarantamila profughi palestinesi cacciati dalle milizie israeliane nel 1948, durante gli scontri e la pulizia etnica che portarono alla creazione dello stato ebraico (il Libano ospita la maggior parte dei profughi palestinesi, circa quattrocentomila, un decimo della popolazione libanese). L'esercito libanese ha quindi circondato il campo profughi e iniziato a bombardarlo a tappeto, mentre i miliziani hanno risposto al fuoco con cecchini e granate. I
miliziani islamici fanno parte del finora sconosciuto gruppo armato Fatah al-Islam, analogo a numerosi gruppi staccatosi lo scorso anno da fazioni palestinesi filo-siriane e a quanto pare legati ai gruppi della jihad sunnita internazionale.
Negli ultimi mesi, vari gruppi armati di questo tipo sono arrivati nei campi profughi libanesi, molti miliziani non sono palestinesi ma provengono da altri paesi mediorientali, come si è potuto constatare dall'identità delle vittime negli scontri, tra cui figuravano sauditi, iracheni, siriani e persino alcuni europei e australiani. Le principali fazioni palestinesi di Hamas e Fatah hanno cercato da subito di disarmare questi gruppi ed espellerli dai campi, tuttavia questi si sono rivelati bene armati e pronti a tutto. Nel caso dei circa trecento membri di Fatah al-Islam, la loro mancanza di scrupoli si è resa evidente quando hanno deciso di asserragliarsi nel campo profughi facendosi scudo dei quarantamila civili palestinesi. È incominciato un cruento assedio tuttora in corso, in cui i profughi hanno avuto ovviamente la peggio: chi ha tentato la fuga tra gli scontri
incessanti, ha trovato dapprima l'esercito libanese a sbarrare la strada, per timore che tra i civili si nascondessero militanti armati. In seguito, i militari han deciso di lasciar scappare donne e bambini, ma arrestare e deportare tutti gli uomini, che, rilasciati dopo qualche giorno, hanno mostrato numerosi i segni di torture e umiliazioni di ogni tipo. Il resto dei profughi, che stanno dunque vivendo il dramma di essere due volte sfollati, si è ammassato nel vicino campo di Beddawi. Già sovraffollato, ha visto raddoppiare la popolazione raggiungendo una situazione insostenibile, tanto che gli sfollati hanno deciso di tentare il tutto per tutto e far ritorno nei
giorni scorsi a Nahr al Bared. L'esercito, tuttavia, dopo aver raso al suolo il campo profughi, sta ancora assediando le rovine per far fuori gli ultimi miliziani ancora in vita: i soldati dunque han
bloccato la strada alla folla di palestinesi che cercava di tornare e davanti alle loro proteste non
hanno esitato ad aprire il fuoco sui civili inermi, uccidendo tre persone e ferendone cinquanta.
Il bilancio attuale dei feroci scontri a Nahr al Bared è una carneficina: ottanta soldati libanesi uccisi, altrettanti miliziani e una cinquantina di civili, nell'episodio più cruento che il libano ricordi dalla fine della guerra civile. Gli scontri, oltre ad essersi estesi ad altri campi profughi, hanno avuto pesanti ripercussioni sui palestinesi presenti in Libano. La popolazione e i media libanesi si sono schierati compatti alle spalle del proprio esercito e contro i profughi palestinesi, dando in sostanza carta bianca ai soldati di sparare a vista. Forse si è trattato di una sorta di rivincita: siccome l'esercito libanese non ha mosso un dito per proteggere il paese dall'invasione israeliana la scorsa estate, ora che finalmente mostra di reagire con fermezza sta risvegliando un tardivo sentimento patriottico. Si è dunque creato nel paese un clima di vera e propria caccia al palestinese, per cui ad ogni check point dell'esercito si può essere arrestati e brutalizzati per il solo fatto di essere palestinesi e le testimonianze in questo senso aumentano di giorno in
giorno. I profughi palestinesi, dunque, che dopo sessant'anni sono ancora privi di qualsiasi diritto e non possono nemmeno usufruire di servizi statali come sanità e istruzione, stanno subendo un'ennesima e più pesante discriminazione, i cui sviluppi sono difficili da prevedere.
Alla scoperta dell'esistenza di questi numerosi gruppi islamici, composti da palestinesi e da combattenti internazionali, è seguita subito una serie di attacchi privi di rivendicazione, ma a quanto pare legati agli scontri nel campo profughi di Nahr al Bared e rivolti ad acuire il crescente clima di tensione. Alcuni razzi Katyusha sono stati lanciati contro Israele ed Hizbullah si è affrettato a condannare recisamente l'attacco, temendo che in mancanza di rivendicazione
gli venisse erroneamente attribuito. Ma l'episodio più grave è successo la scorsa settimana, quando un'autobomba, probabilmente guidata da un kamikaze, ha causato la morte di tre caschi blu spagnoli e tre colombiani, a pochi chilometri dal confine israeliano. L'attacco ha richiamato l'attenzione dei paesi occidentali sulla polveriera libanese, mettendo in evidenza la totale imprevedibilità che caratterizza il paese: mentre il pericolo evidente per l'UNIFIL è rappresentato dalle tensioni tra Hizbullah e Israele, l'attacco al contrario sembra legato agli scontri interni di Nahr al Bared ed ha natura puramente destabilizzante. Si somma ai recenti attentati non rivendicati nel centro di Beirut, sei in tutto, che hanno visto autobombe colpire in sequenza il quartiere cristiano, quello sunnita e un parlamentare filo-siriano, provocando decine di morti e feriti, senza alcuno schema apparente.
Il segretario generale dell'ONU Ban Ki-Moon ha denunciato di fronte al consiglio di sicurezza la
palese violazione della risoluzione 1701, data dalla mancanza di controlli al confine tra Libano e Siria, che lo rendono completamente permeabile al traffico di armi e uomini. Un esempio, come si è visto, è l'arrivo di combattenti sunniti ben addestrati che dai paesi arabi rinforzano le fila di gruppi armati islamici. Un altro esempio è l'incessante rifornimento di missili anti-carro e anti-aereo che Siria e Iran forniscono a Hizbullah, per rimpinguare le perdite subite l'estate
scorsa durante la guerra contro Israele, che ebbe fine grazie alla stessa risoluzione (va menzionato che al tempo stesso e alla luce del sole gli Stati Uniti hanno ripristinato a fondo perduto gli arsenali israeliani). Mentre ingenti quantità di armi vengono ammassate in Libano, la situazione politica si trova in una fase di totale stallo. L'opposizione di Hizbullah, infatti, dopo le manifestazioni oceaniche dei giorni scorsi, non essendo riuscita ad ottenere le elezioni, ha deciso di paralizzare il governo filo-americano di Fouad Siniora. Questi, a sua volta, sta cercando di rendere operativo il tribunale dell'ONU, incaricato di trovare e punire i responsabili del brutale omicidio dell'ex premier anti-siriano Hariri del 2005, i cui mandanti Siniora non fa mistero di individuare nei siriani e in Hizbullah.
Se, come è probabile, l'amministrazione americana e Israele non potranno permettersi un attacco alle centrifughe nucleari iraniane, non è inverosimile che il braccio di ferro con la repubblica islamica trovi sfogo in un conflitto in Libano, come si è visto la scorsa estate. Dopo aver assistito alla “libanizzazione” dell'Iraq, la guerra civile tra sciiti armati dagli iraniani e sunniti armati dai sauditi potrebbe estendersi all'anello debole del Medioriente, provocando a sua volta una “irachizzazione” del Libano, dove alla forte presenza filo-iraniana di Hizbullah si stanno contrapponendo questi diffusi e ben armati gruppi arabi sunniti. A fare le spese di questo worst case scenario, ancora una volta, sarebbe la popolazione civile libanese e i profughi palestinesi, che dopo anni di guerre e occupazioni stanno faticosamente cercando di ricostruire il paese gli uni e di vivere in pace gli altri.
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